TURCHIA, crisi economico-monetaria. Ankara al bivio: basteranno i soldi del Qatar a salvare Erdoğan?

Il presidente turco ostenta come sempre sicurezza, tuttavia le cattive condizioni dell'economia e il crollo della lira e inflazione a due cifre rendono precaria la situazione nel Paese. A farne le spese, per il momento, il suo genero e ministro dell'economia Berat Albaykar, costretto alle dimissioni

L’incipit dell’articolo redatto da Istanbul il 26 novembre scorso da Filippo Cicciù, dal titolo “Turchia: economia debole e lira a picco sulla strada di Erdoğan”, – pubblicato dal periodico specializzato Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa il 27 novembre 2020 (https://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/Turchia-economia-debole-e-lira-a-picco-sulla-strada-di-Erdogan-206724/(from)/newsletter) –  è un lapidaria dichiarazione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan: «La nostra direzione non cambia».
Secondo l’autore dell’articolo, con queste parole Erdoğan avrebbe inteso tacitare coloro i quali, all’interno del suo partito (AKP, Partito della Giustizia e dello Sviluppo) avevano in questi giorni chiesto riforme per la tutela dei diritti umani nel Paese oltre alla la scarcerazione di alcuni prigionieri politici.
Dunque, con poche frasi che non hanno lasciato spazio a diverse interpretazioni, il presidente turco ha gelato le aspettative di chi credeva che il leader curdo Selahattin Demirtaş, il filantropo Osman Kavala e lo scrittore Ahmet Altan potessero tornare in libertà dopo anni passati dietro le sbarre.

Per Cicciù le parole di Erdoğan avrebbero dunque assunto le forme della rassicurazione, in quanto dirette a quei settori dell’AKP che meno avevano tollerato le richieste nel senso della tutela dei diritti civili.

Lira in picchiata.

Egli avanza inoltre l’ipotesi che il presidente turco abbia rispolverato il suo leggendario slogan del passato, «Durmak Yok Yola Devam» (Non ci fermiamo, andiamo avanti), efficace quando il suo partito politico era irresistibile e l’economia del Paese cresceva a tassi notevoli, ma molto meno adesso che la sempre più debole lira turca rischia di trascinare il paese al fondo di una profonda crisi economica.

Oggi molte cose sono cambiate, a cominciare dai rapporti con l’Europa, gli Stati Uniti d’America, Israele, e non pochi paesi del Medio Oriente e del Golfo Persico, per non parlare della gestione della questione curda e della sovraesposizione militare diretta e indiretta di Ankara su vari fronti regionali di guerra.

Se nella fase del suo successo la lira turca era una valuta sostanzialmente  stabile, cambiata a due per un dollaro Usa, oggi per la medesima operazione di cambio di lire turche ne occorrono otto, mentre il tasso di inflazione viaggi a due cifre.

Una divisa che da ormai da tempo oscilla in maniera incontrollabile, che impone alle autorità monetarie nazionali il sacrificio sui mercati di buona parte delle riserve di valuta pregiata posseduta per sostenere la lira, secondo un rapporto diffuso da Goldman Sachs, soltanto quest’anno oltre cento miliardi di dollari.

Scrive al riguardo Filippo Cicciù: «Il deprezzamento della valuta nazionale si è avviato già nel 2014, all’indomani di uno scandalo per corruzione riguardante alcuni ministri del governo Erdoğan e mentre si spegnevano gli ultimi fuochi delle proteste di massa anti governative iniziate nel 2013 nel parco Gezi di Istanbul per poi espandersi in molti altri grandi centri urbani del Paese, tra i quali la capitale. Da allora la caduta della lira turca non si è mai arrestata, arrivando in tempi recenti a toccare puntualmente record al ribasso come due anni fa dopo la nomina al ministero dell’economia di Berat Albayrak, genero dello stesso presidente Erdoğan».

Le dimissioni di Albayrak.

Lunedì 9 novembre il crollo della valuta nazionale turca si era momentaneamente arrestato. La lira non aveva segnato un nuovo record negativo su euro e dollaro come da un paio d’anni succede ormai regolarmente ogni mese, talvolta settimanalmente.

Per la prima volta dal 2018, la valuta nazionale turca guadagnava valore recuperando circa il 5%.

In quelle stesse ore la Turchia non aveva un ministro dell’Economia, poiché il titolare del dicastero del tesoro, appunto Albayrak, aveva annunciato la sera precedente le sue intenzioni di rassegnare le proprie dimissioni, ufficialmente «per motivi di salute». Una notizia che aveva immediatamente generato interrogativi riguardo alla tenuta del governo.

Le reazioni dei mercati finanziari parvero incoraggianti, con la moneta turca che riprendeva temporaneamente valore, un vigore mantenuto anche all’indomani della decisione della banca centrale di Ankara di alzare i tassi di interesse dal 10,25% al 15%, cioè quello che da anni veniva richiesto dagli investitori internazionali ma sempre bocciata da Erdoğan, che in sedici mesi aveva sostituito di autorità due diversi governatori dell’istituto centrale come reazione alla loro intenzione di alzare i tassi di interesse.

Il nuovo governatore della banca centrale è stato nominato da Erdoğan due giorni prima delle dimissioni a sorpresa di suo genero.

«È chiaro – commenta Cicciù nel suo articolo – che la scelta di alzare di alzare i tassi di interessi è stata in qualche modo concordata con il presidente».

Oggi Erdoğan cerca nuovamente la fiducia dell’Unione europea, ma sa benissimo che sarà difficile ottenerla, anche a causa del contesto che lui stesso ha contribuito a creare.

Continua a leggere l’articolo su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa all’indirizzo:

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/Turchia-economia-debole-e-lira-a-picco-sulla-strada-di-Erdogan-206724/(from)/newsletter

Condividi: